Contributo al convegno virtuale text-e, 2002, il primo convegno interamente virtuale dedicato all’impatto di Internet sul testo scritto, la lettura e la diffusione della conoscenza. Il convegno si è svolto dal 15 ottobre 2001 a fine marzo 2002. Su text-e troverete le dieci conferenze invitate e i dibattiti archiviati che hanno seguito ogni conferenza.
Il futuro della scrittura
Dan Sperber
Traduzione di Gloria Origgi
Se leggete questo testo è probabile che vi serviate con la stessa facilità della parola e dello scritto. Vivete, come me, in un ambiente dove il linguaggio è onnipresente nella forma di stimoli acustici o visivi. Ogni giorno trattiamo sicuramente più testo scritto che parole. Diamo lo stesso valore alla nostra capacità di leggere e scrivere che alle nostre capacità motrici e percettive più fondamentali. Consideriamo la scrittura come un tratto essenziale della realizzazione di sé stessi. Dimentichiamo facilmente che la scrittura è un’invenzione recente nella storia di Homo Sapiens, che l’alfabetizzazione per tutti è diventata un obbiettivo solo da poche generazioni, un obbiettivo ancora lontano dall’essere interamente realizzato. Anche quando ci ricordiamo del fatto che la scrittura è recente e che l’alfabetizzazione si è diffusa solo nell’ultimo secolo, non dubitiamo che sia qui per restare. Ma è davvero così?
La tesi controversa che voglio difendere è che con la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la scrittura potrà presto non essere altro che una reliquia del passato, mentre la lettura resterà. Il mio scopo non è però di profetizzare, ma di prendere a prestito gli strumenti delle scienze cognitive e sociali per riflettere meglio sul futuro.
Per quanto possa sembrare radicale la tesi che difendo, faccio osservare che una tesi ancora più estrema ha i suoi difensori. Secondo questa tesi, la scrittura e la lettura saranno presto cose del passato, una coppia ingombrante di protesi comportamentali che, retrospettivamente, sembreranno una parentesi nella storia dell’umanità. E’ quello che sostiene ad esempio William Crossman che scrive: “I computer parlanti, dandoci l’accesso alle informazioni registrate tramite la parola e l’udito, ci permetteranno infine di sostituire tutta la lingua scritta con la lingua parlata. Saremo capaci di registrare e recuperare l’informazione semplicemende parlando, ascoltando e guardando dei grafici, ma non dei testi. Con questo passo da giganti in avanti, siamo sul punto di ricreare una cultura orale su basi tecnologiche più efficaci e più affidabili” (“The Coming Age of Talking Computers”, The Futurist, dic. 1999). Sosterrò invece che esista un’asimmetria pertinente tra la scrittura e la lettura che dovrebbe assicurare la sopravvivenza di quest’ultima.
Il passato e il presente
Prima di scrutare l’avvenire, uno sguardo sul passato e il presente. Nella maggior parte delle società umane mai esistite, i bambini sono diventati adulti competenti senza l’aiuto di nessuna educazione formale. Hanno acquisito una lingua, la conoscenza del loro ambiente naturale e sociale, delle tecniche, un modo di vivere, racconti, canti, e altre competenze culturali senza scuola né insegnamento organizzato. Sono certamente stati aiutati dagli adulti e dagli altri bambini, che hanno dato loro consigli e hanno corretto i loro errori, ma questo genere di assistenza pedagogica è molto diverso dall’educazione istituzionale. L’educazione istituzionale serve tipicamente a trasmettere saperi e competenze che non sono praticamente mai acquisiti attraverso un processo spontaneo e che dunque, se non li si insegnasse sistematicamente, non emergerebbero mai e non si stabilizzerebbero come ingredienti della cultura.
C’è un contrasto che salta agli occhi tra l’acquisizione del linguaggio e quella della scrittura. In condizioni ordinarie, il linguaggio è acquisito spontaneamente dal bambino piccolo. Il sostegno pedagogico degli adulti (che è quasi interamente assente in certe società) gioca al massimo un ruolo marginale. L’acquisizione della scrittura e della lettura consiste invece in un processo lungo e intensivo di esercizio deliberato e interazione con un maestro. Dipende dal fatto che i sistemi di scrittura sono più complessi delle lingue parlate? In realtà è il contrario. Una lingua come l’inglese, l’amarico o il cinese è un oggetto ben più complesso di un sistema di scrittura alfabetica, sillabica o logografica. In effetti, i linguisti non sono ancora riusciti a produrre una grammatica completamente esplicita di nessuna lingua umana, mentre i sistemi di scrittura comportano regole interamente esplicite. Questa notevole differenza tra l’acquisizione del linguaggio da una parte e della scrittura dall’altra dipende da disposizioni psicologiche: gli esseri umani sono predisposti a acquisire spontaneamente la lingua della loro comunità, mentre non hanno alcuna predisposizione ad acquisire la scrittura. Sono i sistemi di scrittura che hanno dovuto adattarsi piuttosto alle disposizioni percettive e motrici emerse ben prima dell’invenzione della scrittura. Come è possibile che, in queste condizioni, i sistemi di scrittura siano apparsi e si siano mantenuti e diffusi?
La scrittura non è stata immediatamente una componente della cultura così come lo è nella società moderna. E’ stata prima una competenza specializzata praticata da scribi professionisti al servizio dello stato. Questo tipo di competenze specializzate emergono quando la domanda per i prodotti di questa competenza è sufficientemente forte e provoca la costituzione di un gruppo di specialisti (o perché sono motivati economicamente o perché sono costretti dagli utilizzatori finali dei loro prodotti). Le difficoltà cognitive che l’acquisizione di queste competenze comporta vengono sormontate all’interno del gruppo di specialisti grazie a un investimento importante nella formazione e nell’apprendistato. L’insegnamento della competenza diviene tipicamente materia di una competenza didattica di secondo ordine.
L’accumulazione e la diversificazione dei testi scritti resi possibili dallo sviluppo della scrittura e le trasformazioni economiche e politiche associate hanno reso i costi dell’acquisizione della scrittura e della lettura inferiori ai beneifici di questa acquisizione per una proporzione crescente della popolazione. Nelle società moderne, i beneifici sono più grandi dei costi per la maggioranza e l’analfabetismo è diventato qualcosa di cui vergognarsi, che ha quindi un costo in sé stesso.
C’è un altro fattore importante che contribuisce a spiegare la generalizzazione della scrittura e della lettura. Una volta acquisita davvero la competenza, scrivere diventa una specie di automatismo: si può scrivere senza prestare nessuna attenzione cosciente ai movimenti della mano (e questo vale anche per la dattilografia). Allo stesso modo, per il vero lettore, la lettura è un tipo di riconoscimento visivo automatico di forme tra gli altri. Le prime forme di scrittura, come la scrittura cuneiforme dei Sumeri con i suoi materiali e i suoi strumenti ingombranti, non permettevano lo stesso genere di automatismo.
Due fattori spiegano così il successo della scrittura: il fatto che i benefici sono diventati, per un numero crescente di persone, maggiori dei costi e il fatto che, una volta pagati i costi iniziali d’acquisizione della competenza, i costi di utilizzo della competenza acquisita sono comparabilmente trascurabili. Questi due fattori sono legati tra loro. Se la distribuzione dei costi e dei benefici fosse ripartita in modo più omogeneo nel corso della vita, o, in altre parole, se i costi marginali della scrittura e della lettura non sprofondassero una volta acquisite le competenze, si leggerebbe e si scriverebbe molto meno (tale era d’altronde la situazione quando si scriveva sulla pietra o sulla terracotta). Con un uso meno frequente della lettura e della scrittura, ci sarebbero meno testi scritti da leggere e meno persone disposte a leggerli. I benefici della scrittura e della lettura ne verrebbero diminuiti in proporzione, e potrebbero non giustificarne più i costi, tranne che per un piccolo gruppo di scribi professionisti. Quello che succede invece è che, una volta apprese, la scrittura e la lettura sono generalmente vantaggiose. Maggiore è il numero delle persone che leggono e scrivono, maggiore è il vantaggio di saperlo fare e maggiore è la motivazione di trasmettere questa competenza ai propri figli. In queste condizioni, com’è possibile che il futuro della scrittura e della lettura possa essere incerto? E’ possibile perché, in una parola, scrivere non è il solo modo di produrre testi scritti.
Poco tempo fa ancora, molta gente ricca o potente preferiva dettare al segretario piuttosto che scrivere da sola. Certe opere letterarie o storiche come il Paradiso Perduto di Milton, o il Memoriale di Sant’Elena di Las Cases e Napoleone sono state dettate. Può essere vantaggioso dettare per ragioni di velocità, o può essere una necessità, come nel caso del vecchio Milton che aveva perso la vista. La ragione principale di questa preferenza, mi sembra, è il fatto che abbiamo un controllo ben minore del testo dettandolo che scrivendolo. In ogni caso, il dettato tradizionale era una forma di divisione del lavoro scritturale e non un modo di rendere la scrittura obsoleta. Oggi invece, le nuove tecnologie dell’informazione stanno permettendo una nuova forma di dettato che non soffre degli stessi difetti della vecchia, e tale per cui la divisione del lavoro non verrà più fatta tra impiegati e datori di lavoro, ma tra esseri umani e macchine.
I programmi di riconoscimento vocale che permettono la conversione della parola in testo si sono rapidamente migliorati nel corso degli ultimi anni e permettono di parlare in modo continuo e naturale al ritmo della conversazione e di vedere ciò che si dice sullo schermo. Attualmente, il tasso di errori è ancora troppo alto, i programmi devo essi stessi essere “educati”, e molti degli utilizzatori che non hanno un bisogno pressante di questo genere di programmi si scoraggiano. Mi sembra evidente però che questi difetti saranno superati e che, tra qualche anno, sarà possibile parlare normalmente e che la macchina trascriva con pochi errori e distinguendo, nel flusso di parole, le istruzioni che devono essere eseguite (per esempio: “Sottolinea!”) dal testo propriamente detto che deve essere trascritto. Diventerà più facile dettare a una macchina di quanto non lo sia mai stato dettare a un segretario. In modo più generale, sarà più facile dare ordini a un computer (e a diversi generi di apparecchi domestici, di veicoli e di altre macchine) parlando loro invece di manipolare una tastiera, un mouse o altri gadgets. Le macchine saranno capaci di rendere l’informazione oralmente invece che sullo schermo. Grazie ai progressi della tecnologia della conversione del testo in parole, le macchine daranno capaci di leggere ad alta voce i testi scritti con un’intonazione naturale. Le interazioni orali in lingua naturale saranno la regola invece dell’eccezione.
Benché imperfette, le tecnologie di conversione della parola in testo trasformano già la vita delle persone che, soffrendo di un handicap visivo, uditivo o motore, o di dislessia, non possono leggere e scrivere normalmente. Se i milioni di analfabeti nel mondo non approfittano di queste stesse tecnologie è a causa della povertà, che spiega anche il loro analfabetismo.
Tra poco tempo, i costi e i benefici della scrittura e della lettura saranno paragonati non solo con quelli dell’analfabetismo ma anche con gli altri modi di creazione e di consultazione dei testi resi possibili dalle nuove tecnologie. In che cosa tutto questo cambierà il futuro della lettura e della scrittura?
Scelte individuali
Mentre la parola è un evento che si svolge nel tempo, un testo scritto è un oggetto più o meno durevole nello spazio (più durevole quando è scolpito nella pietra, meno quando è scritto con il gesso sulla lavagna). A causa di questa differenza nei loro modi di esistenza temporale e spaziale, la parola e lo scritto hanno usi differenti. Lo sviluppo della scrittura non ha portato con sé un declino della parola: non conosco alcun dato che mostri che la parola è meno utilizzata nelle società con la scrittura rispetto alle società senza scrittura. Sembra piuttosto il contrario. Lo sviluppo della scrittura ha provocato l’emergenza di nuovi usi del linguaggio, di reti sociali più larghe e più dense, e dunque di nuove occasioni dove servirsi della parola e una maggiore sofisticazione nell’arte del parlare.
Cosa succederà ora se la conversione della parola in testo e del testo in parola diventeranno degli strumenti ordinari di comunicazione? Queste tecniche porteranno con sé, come è successo nel caso della scrittura, l’emergenza di usi linguistici che si aggiungeranno a quelli che già esistono, o sostituiranno lo strumento della scrittura e, in questo caso, con quali effetti? E’ importante qui distinguere bene l’attività della scrittura (a mano o alla tastiera), il testo stesso scritto e l’attività di lettura. Se la conversione della parola in testo dovesse essere utilizzata sistematicamente e la conversione del testo in parola in maniera soltanto occasionale (cosa che sembra costiuire uno scenario plausibile) sarebbe la fine, o in tutti i casi la marginalizzazione dell’attività di scrittura, ma né del testo scritto né dell’attività di lettura. Se la conversione del testo in parola dovesse essere utilizzata sistematicamente e la conversione della parola al testo solo occasionalmente (cosa che è molto meno plausibile) sarebbe la fine, o almeno la marginalizzazione, dell’attività di lettura, ma né di quella di scrittura, né del testo scritto. Se (come predice Crossman) le due forme di conversione dovessero essere utilizzate sistematicamente, sarebbe la fine dell’attività di scrittura, dell’attività di lettura e dunque del testo scritto. Le macchine si servirebbero di un linguaggio macchina per codificare l’informazione necessaria alla conversione dalla parola al testo e vice-versa; queste codifiche non somiglierebbero per nulla ai nostri testi scritti e, in ogni caso, non sarebbero mai viste né lette da nessuno.
Le nostre società finiranno per sostituire la scrittura e la lettura con le tecnologie di conversione? In ogni caso questo non sarà il risultato di una decisione collettiva fondata su una visione delle coseguenze di una scelta simile per la società, ma dell’accumulo di decisioni individuali. Qual è la probabilità, dunque, che gli individui adottino queste nuove tecnologie?
La conversione della parola in testo
In quale misura potremo raggiungere attraverso la conversione della parola in testo i vari obbiettivi che possiamo raggiungere scriverndo? A prima vista e in generale, ciò che può essere realizzato attraverso un testo scritto non dipende affatto dal modo in cui è stato inizialmente prodotto: scritto a mano, dattilografato, dettato a un’altra persona o trascritto da una macchina. Le rare eccezioni, per esempio i testamenti olografi, o le lettere d’amore profumate, costituiranno un ostacolo alla generalizzazione della conversione della parola in testo scritto non più di quanto lo hanno costituito alla generalizzazione della scrittura su tastiera.
Per un individuo, scegliere di produrre un testo attraverso la conversione della parola in testo invece che attraverso una forma qualunque di scrittura non costituirà una decisione capitale e dipenderà da considerazioni pratiche ed estetiche. La conversione della parola in testo ha un vantaggio pratico evidente e maggiore rispetto alla scrittura manuale o alla dattilografia: una rapidità moltiplicata. Essa ha uno svantaggio pratico evidente: la parola è rumorosa e dunque non potrà essere utilizzata agevolmente come metodo di composizione del testo nella maggior parte degli ambienti attuali di lavoro, di studio o domestici. Nondimeno, se la parola si rivelasse un mezzo ben più efficace di produrre testo scritto, gli spazi di lavoro potrebbero essere riorganizzati (o forse il rumore potrebbe essere controllato selettivamente attraverso altre nuove tecnologie).
L’argomento principale che viene in mente in favore del mantenimento dell’attività di scrittura è più intellettuale che pratico. La scrittura permette di esprimere i propri pensieri in modo più ricco, più sottile e meglio controllato della parola. Scrivendo si può correggere, riscrivere e, alla fine, produrre un testo senza le esitazioni e le riprese della parola. E’ lo sfruttamento di queste possibilità che fanno la ricchezza stilistica e la specificità dello scritto. Va osservato però che queste possibilità non riguardano il fatto stesso di scrivere, ma il fatto che chi scrive può leggere quello che scrive scrivendolo. Immaginate che scrivendo non possiate vedere la parola sotto la penna, che, una volta scritta, diventa invisibile e non cancellabile. In questo caso, tutti i vantaggi stilistici della scrittura sulla parola sarebbero perduti, (e peggio: dato che la scrittura è più lenta della parola, la quantità di testo che potreste conservare nella memoria a corto termine sarebbe minore, cosa che favorizzerebbe frasi più corte e più semplici nella scrittura che nella parola). Immaginate vice-versa che quello che dettate a una macchina sia immediatamente leggibile sullo schermo e possa inoltre essere facilmente corretto attraverso istruzioni orali (forse anche manuali). Questa interazione essenzialmente orale con la macchina offrirebbe delle possibilità di elaborazione stilistica identiche a quelle della scrittura. Il potenziale creativo della scrittura non proviene dalle mani, ma dall’occhio. In altri termini, ciò che dà un valore unico al processo di scrittura è la lettura simultanea di ciò che si scrive.
Esiste un’importante ragione estetica per preferire la conversione della parola al testo alla scrittura. Anche abituati come siamo a spostare la penna sulla carta o a battere i tasti, la parola è molto più naturale. All’inizio, proveremo un certo disagio a dettare a una macchina, ma una volta superato il disagio sarà forse un sollievo straordinario essersi sbarazzati dell’artificialità, della tensione muscolare, e dell’agitazione della scrittura e ascoltare il suono della propria voce esprimendosi attraverso il linguaggio. Quando sarà possibile lasciare da parte la scrittura, saremo in molti a realizzare a che punto essa sia sempre stata scomoda.
Se la tecnologia della conversione della parola in testo si rivela efficace e piacevole, le persone finiranno per smettere totalmente di scrivere senza averlo mai deciso e senza nemmeno rendersene conto (così come molti di noi hanno smesso di scrivere a mano). L’effetto cumulativo di una tale scelta individuale a livello culturale è difficle da prevedere, ma sarà certamente considerevole.
La conversione del testo in parola
La conversione del testo in parola è un modo di farsi leggere un testo a voce alta invece di leggerlo da soli. Così come molte persone ricche o potenti si sono servite di segretari per dettare invece di scrivere, le stesse persone potrebbero fare appello a lettori o lettrici pagati. Ciò che traiamo da un testo letto da qualcun altro è diverso da ciò ne se ne trae leggendolo da soli. Il tono della voce del lettore contribuisce al modo in cui si interpreta il testo. In certi casi – un attore che legge un poema o una madre che legge una storia al suo bambino – può essere meraviglioso. Ma, in generale, preferiamo interpretare quello che leggiamo nella nostra propria voce silenziosa. Inoltre non ci abitueremo forse mai al tono di voce di un computer e resteremo giustamente reticenti a subire la sua influenza nella nostra interpretazione del testo.
Mentre ascoltare una poesia o una storia letta a voce alta può essere una fonte di piacere o addirittura di illuminazione, ci sono altri generi di testi che comprendiamo meglio se li leggiamo da soli. Testi di questo tipo sono scritti per essere letti in silenzio, ed è difficile, direi impossibile, seguirli quando bisogna ascoltarli. Chiunque si sia annoiato a morte ascoltando un accademico leggere a voce alta un suo testo sa di cosa parlo. Per comprendere perché è così, considerate il ruolo che gioca la memoria a corto termine nella comprensione. Nel processo di ascolto della parola (che si tratti di una conversazione o di una lettura a voce alta) l’informazione fornita da ogni parola deve essere tenuta nella memoria a corto termine abbastanza a lungo per permettere la decodifica linguistica (anche se una parte di questa informazione può essere ricostruita a partire dal contesto). Non è la stessa cosa con la lettura. Il testo scritto fornisce una memoria a corto termine efficace che può essere percorsa nei due sensi. E’ ciò che permette al lettore di seguire un testo al suo ritmo rispetto a un ascolto che si fa al ritmo del locutore. Il lettore può prima di tutto percorrere il testo per poi leggerlo attentamente. Può tornare indietro su un passaggio che retrospettivamente gli è parso pertinente. Può verificare la coerenza del testo. Quando leggete, perdete il supplemento d’informazione dato dalla voce e dai gesti, ma potete comprendere di più del testo e più a fondo. Il fatto che il lettore veda una pagina intera e possa andare dovunque nel testo ha aperto agli autori di testi scritti delle possibilità che i locutori non hanno. Scrivendo, si possono utilizzare frasi più complesse. Si può sottolineare l’organizzazione di un testo con paragrafi, titoli, sottotitoli. Ci si può allontanare da un’organizzazione strettamente lineare aggiungendo note e rinvii, o appendici. Si possono produrre nuovi generi di oggetti che sono insieme linguistici e grafici, come le liste strutturate e le tavole. Anche durante i corsi e i seminari, la maggior parte degli insegnanti e dei conferenzieri trovano utile, o addirittura necessario, fornire al loro pubblico del testo scritto e altri oggetti grafici come degli appunti alla lavagna, dei documenti su carta o delle proiezioni su uno schermo. Molte delle forme e delle funzioni dello scritto traggono vantaggio dagli effetti della presentazione visiva sul lavoro della memoria a corto termine. Senza dubbio, alcune funzioni potrebbero essere svolte da macchine parlanti, ma certamente non tutte. Per esempio, potrebbe essere più facile chiedere a voce alta a una macchina di leggere una corta voce di dizionario, invece di utilizzare l’ordine alfabetico per ritrovarla da soli. Al contrario, percorrere un testo, o un catalogo resteranno una questione di vista più che di udito.
Dal punto di vista pratico, l’ascolto di un testo è molto più lento della lettura. E’ anche più rumoroso (ma questo si può correggere facilmente con degli auricolari). Il più grande ostacolo all’abbandono della lettura è certamente il ruolo che gioca non tanto nella fruizione dei testi quanto nella loro produzione. Come ho già sottolineato ciò che apprezziamo di più, e a giusto titolo, nell’attività di scrittura, non sono i movimenti della mano (altrimenti la dattilografia non avrebbe sostituito la scrittura manuale a questo punto), ma il fatto che possiamo leggere a poco a poco ciò che scriviamo.
Tutto ciò rende poco plausibile che l’effetto di decisioni individuali in materia porti alla sostituzione a scala sociale dell’attività di lettura con l’uso di tecniche di conversione del testo.
E la cultura?
Fino a qui ho tentato di sviluppare l’argomento seguente: praticamente tutti i benefici che associamo alla scrittura e che giustificano che si consacrino tante risorse cognitive e sociali al suo insegnamento sono, in realtà, benefici tratti dalla lettura. Anche i vantaggi apparenti della scrittura sulla parola in materia di espressione dipendono dal fatto che scrivendo si legge quello che si scrive. La scrittura è essenzialmente un costo pagato per poter approfittare della lettura. Era ed è ancora un costo inevitabile, ma non per molto tempo. Appena la tecnologia permetterà di vedere la propria voce trascritta correttamente a poco a poco che si produce e di modificare il testo trascritto con istruzioni orali (e senza dubbio con gesti di indicazione e di selezione del testo), la scrittura non presenterà più alcun vantaggio che ne giustifichi il costo. Invece, farsi leggere un testo a voce alta è raramente preferibile alla lettura personale.
Molto presto, l’effetto cumulativo di decisioni individuali di utilizzare le nuove tecnologie porterà con sé, a scala sociale, la quasi-scomparsa della scrittura mentre la lettura continuerà. Le decisioni di cui parlo saranno prima quelle di individui che avranno già pagato il costo principale implicato dalla scrittura e dalla lettura, ossia non quello della loro fruizione ma quello del loro apprendimento. Anche avendo pagato questo costo, diventerà preferibile passare alla produzione orale di testi scritti, così come l’aver appreso a scrivere a mano non impedisce la maggior parte di noi di non scrivere più ormai che quasi esclusivamente con la tastiera.
Una volta che la scrittura non sarà più praticata (se non dagli amatori di calligrafia), che ne sarà del suo insegnamento?
Quale che sia la lingua e il sistema di scrittura, l’insegnamento della scrittura comporta sempre un costo supplementare rispetto all’insegnamento della lettura. La lettura può in effetti essere insegnata da sola, mentre l’insegnamento della scrittura comporta quello della lettura. Dato che l’insegnamento della lettura e della scrittura sono strettamente legati, non abbiamo confronti controllati che permettono di valutare il costo supplementare legato all’insegnamento della scrittura propriamente detta. Inoltre, anche un confronto controllato non permetterebbe veramente di valutare l’economia di sforzo che un insegnamento della sola lettura permetterebbe, perché tutte le pedagogie passate e attuali (ad eccezione di quelle che riguardano allievi con handicap specifici) propongono un insegnamento congiunto delle due pratiche. Se si dovesse insegnare soltanto la lettura, bisognerebbe ripensare la pedagogia e in particolare il ruolo che il computer potrebbe giocarvi. Non è inconcepibile che la lettura sola possa, appoggiandosi sulle nuove tecnologie, essere insegnata in modo molto più facile e intuitivo rispetto alla coppia lettura/scrittura.
Ciò significa che una volta che la scrittura sarà sostituita dalla trascrizione, si cesserà di insegnarla per non insegnare altro che la lettura, e che le risorse così liberate (il tempo dei bambini, dei maestri, dei genitori) potranno essere utilizzate altrimenti? No di certo. Una transizione culturale di quest’ampiezza costituisce un processo complesso e si scontra con diversi fattori di inerzia.
Nei paesi sviluppati, coloro che potranno averere il più grande interesse all’abbandono della scrittura, ossia i bambini, non sono in grado di giudicare e non hanno in ogni caso voce in capitolo. Le prime generazioni di adulti che passerano al dettato dopo anni di scrittura avranno già pagato il prezzo dell’apprendistato. Il prezzo pagato, la familiarità con la pratica, la mancata distinzione tra insegnamento della scrittura e della lettura, il disprezzo o la compassione per gli analfabeti, tutto concorrerà a fare di questi adulti dei difensori ardenti dell’insegnamento della scrittura. Gli insegnanti formati a insegnare la scrittura e l’ortografia e che spesso lo fanno con una devozione e una pazienza straordinarie, non saranno mai disposti ad ammettere che tutto ciò fa parte di un sapere obsoleto. Si possono immaginare facilmente le arringhe e le diatribe appassionate dei difensori della scrittura, che, anche se essi stessi non ne faranno più uso, avranno il sentimento di proteggere la cultura stessa contro, peggio degli analfabeti, i sostenitori dell’analfabetismo. Questo scenario, dove la scrittura resta tra noi come attività scolastica obbligatoria, non è il solo plausibile. Non tiene conto dei diversi fattori che potrebbero fare evolvere le cose diversamente. L’insegnamento in generale dovrà cambiare radicalmente sotto l’effetto delle nuove tecnologie. Si può immaginare che l’apprendimento della lettura si faccia più presto e più spontaneamente grazie all’interazione con le macchine e che dunque l’insegnamento della lettura e quello della scrittura si trovino di fatto dissociati. Si può immaginare che la scrittura non giochi un ruolo significativo che nei corsi di scrittura e che sia sempre meno utilizzata nell’insegnamento di altre materie. In queste condizioni, l’insegnamento della scrittura perderà più rapidamente molta della sua importanza. Le nuove generazioni di adulti potranno allora essere tentati di attribuire meno risorse a questo insegnamento e renderlo facoltativo.
Anche questo scenario modificato non tiene conto della diversità delle situazioni nel mondo. In un grande numero di paesi, il grosso delle risorse dell’insegnamento è dedicato alla scrittura e alla lettura e l’analfabestismo almeno parziale della popolazione è un ostacolo maggiore allo sviluppo economico. In quei paesi, l’impiego di tecniche di conversione della parole in testo e anche del testo in parola, se il loro costo si abbassa a sufficienza, può rivelarsi un mezzo eccezionale di accelerare simultaneamente la promozione sociale degli individui e lo sviluppo economico collettivo. In questi stessi paesi, lo sviluppo dell’educazione dovrà allora essere ripensato su un’altra base, e mentre oggi è centrato sulla scrittura potrà marginalizzarne il ruolo nel futuro.
Anche se risultasse dall’accumulo di decisioni individuali, ognuna delle quali modesta e ragionevole, la marginalizzazione della scrittura e del suo insegnamento avrebbe degli effetti culturali senza dubbio considerevoli e difficilmente prevedibili. E’ troppo facile parlare di ritorno all’oralità. Gli effetti più profondi che ha avuto la scrittura sulle civiltà umane hanno a che fare con il fatto che essa ha permesso loro di diventare veramente cumulative invece di evolvere sempre all’interno dei limiti della memoria a lungo termine degli umani. Non solo questi effetti sono sono compromessi, ma le nuove tecnologie dell’informazione permettono nuove forme di accumulo culturale così come nuove forme di sfruttamento dell’informazione accumulata.
Nondimeno, la generalizzazione della produzione orale du testi scritti avrà senza dubbio effetti significativi sui testi stessi. E’ possibile che questi effetti siano più sottili che drammatici, e confrontabili per questo agli effetti della sostituzione progressiva della scrittura manuale con la dattilografia, o della macchina da scrivere con i sistemi di word processing. Questo cambiamento ha favorito l’emergenza o lo sviluppo di nuovi stili e di nuovi generi in un modo che non è ancora studiato sistematicamente. E’ possibile anche che la composizione di testi scritti per mezzo della voce abbia degli effetti più profondi. Le diverse forme di scrittura hanno generato una certa divergenza (variabile a seconda delle lingue) tra i dialetti orali e i dialetti scritti. Un ritorno all’organo naturale dell’espressione linguistica metterà fine a questa divergenza o provocherà la creazione di nuovi dialetti?
I simboli stessi dei differenti sistemi di scrittura risultano da un compromesso tra i bisogni della mano e quelli dell’occhio. La stampa e ora il computer hanno permesso l’emergenza di nuovi caratteri scritti manualmente. Questo vincolo potrebbe scomparire, portando con sé una nuova evoluzione dei sistemi stessi di scrittura guidata solo da considerazioni di ergonomia e di estetica visiva.
Si può immaginare di tutto, ma è difficile speculare in modo informato e ragionato su queste questioni. Difficile ma non impossibile, spero.
Traduzione di Gloria Origgi